Trattamento dopo Osteotomia Valgizzante di Ginocchio o Protesi Monocompartimentale

Possibilità di Trattamento Successivo dopo Osteotomia Valgizzante di Ginocchio o Protesi Monocompartimentale Mediale

Spotorno L.; Morasso V.; Romagnoli S.; Ivaldo N. ; Grappiolo G. and Bibbiani E.: Possibilità di Trattamento Successivo dopo Osteotomia Valgizzante di Ginocchio o Protesi Monocompartimentale Mediale. Minerva Ortop. Traumatol., 44 (3): 131-5, 1993.

L’analisi dei risultati a distanza degli interventi di osteotomia valgizzante nel trattamento del ginocchio varo artrosico mostra nelle diverse casistiche significative percentuali di insuccesso.

(Maquet: 30% risultati mediocri e cattivi; Broughton et al. 57% risultati mediocri e cattivi a 5-10 anni).

E’ facile comprendere come il tipo e le possibilità di riuscita di qualsiasi procedimento chirurgico successivo siano in stretta relazione con le cause che hanno determinato tali insuccessi.

TRATTAMENTO DEGLI ESITI DI OSTEOTOMIA VALGIZZANTE

Se si escludono i cattivi risultati legati a sepsi, per altro attualmente rari e di solito facilmente trattabili, l’insuccesso di una osteotomia valgizzante può essere ricondotto a due cause fondamentali: l’errore di indicazione e il difetto di tecnica chirurgica.

ERRORI DI INDICAZIONE

Per ciò che concerne gli errori di indicazione dobbiamo ricordare i casi di gonartrosi evoluta con interessamento significativo del compartimento laterale e/o dell’articolazione femoro-rotulea.

A questo ultimo proposito va però ricordato che non sempre, ad una compromissione radiografica della femoro-rotulea, fa riscontro una sintomatologia clinica corrispondente.

In presenza di una artrosi monocompartimentale con importante componente rotatoria (artrosi rotatoria) la correzione ottenibile mediante una osteotomia valgizzante, che modifica l’asse di carico quasi esclusivamente sul piano frontale, si rivela spesso inadeguata o quanto meno insufficiente.

ERRORI DI TECNICA CHIRURGICA

Talvolta l’insuccesso di una osteotomia valgizzante è legata ad un errore di tecnica chirurgica.

In alcuni casi si potrà trattare di una insufficiente correzione con conseguente ricomparsa della sintomatologia a carico del compartimento mediale; altre volte si instaura un quadro artrosico a carico del compartimento laterale dovuto ad una ipercorrezione esagerata

Altri possibili insuccessi possono conseguire a deviazioni sul piano sagittale con esiti in ginocchio flexum o recurvato.

Infine, i casi che, per condizioni preesistenti o per problematiche connesse alla tecnica chirurgica e al trattamento post-operatorio, presentino importanti difetti di articolarità, potranno rientrare nel gruppo dei risultati insoddisfacenti.

INDICAZIONI AL TRATTAMENTO

Qualora si debba porre l’indicazione per un secondo intervento dovranno essere tenuti in considerazione anche altri parametri di ordine generale.

Suggeriscono la scelta di una seconda osteotomia: l’età inferiore ai 60 anni, il peso in eccesso (oltre 95 kg.), il fatto che il paziente svolga abitualmente attività fisiche pesanti o pratichi sport attivo.

Per contro, la presenza di un morfotipo varo a carico del ginocchio controlaterale (asintomatico), può far optare per un intervento di sostituzione protesica in relazione al migliore risultato sotto il profilo estetico-funzionale.

Come è stato detto in precedenza, la scelta del trattamento successivo dipenderà dalle motivazioni che hanno causato l’insuccesso, integrate dalle valutazioni di ordine generale.

Nei casi di osteotomie con ipocorrezione dell’asse femoro-tibiale, si potrà prendere in considerazione la scelta di una seconda osteotomia che realizzi un’ipercorrezione (3°-5° di valgismo)
In alternativa si potrà optare per l’impianto di una protesi monocompartimentale o, più raramente, di una protesi totale.(fig. 1- fig. 2)

Nei casi di ipercorrezione, molto raramente vi sarà l’indicazione per una seconda osteotomia. La scelta cadrà allora su una protesi totale, talvolta associata ad una osteotomia varizzante tibiale stabilizzata con cambre. (fig.3 – fig. 4)

Quando invece l’insuccesso di una precedente osteotomia sia da mettere in relazione alle indicazioni con la presenza di una artrosi rotatoria, il trattamento idoneo consisterà nell’impianto di una protesi monocompartimentale in presenza di una ipo-normocorrezione, e di una protesi totale nei casi in cui sia stata effettuata una ipercorrezione tale da determinare la degenerazione del compartimento laterale.

Infine, qualora la persistenza della sintomatologia dolorosa dopo un intervento di osteotomia possa essere attribuita ad una importante artrosi femoro-rotulea, dovrà essere preso in considerazione l’impianto di una protesi di rotula o di una protesi totale.

L’impianto di un artroprotesi totale, in un ginocchio già sottoposto ad osteotomia valgizzante con ipercorrezione, può presentare difficoltà particolari legati alle modificazioni delle strutture scheletriche (obliquità della rima articolare, deformità della tibia prossimale). (fig. 5)

Ulteriori problematiche sono quelle connesse alla correzione dell’asse meccanico e al riallineamento dell’apparato estensore, e all’entità del sacrificio di bone stock.

Di particolare importanza è poi, in questi casi, la necessità di riprodurre una corretta tensione capsulo-legamentosa che può richiedere sia manovre di detensione del comparto laterale, retrattosi a seguito della deformità in valgo, che di ritensione mediale.

L’esecuzione di un corretto release del comparto laterale può richiedere la sezione della bandelletta ileo-tibiale, del tendine del popliteo, del legamento collaterale, della capsula postero-laterale.

Le tecniche più comunemente utilizzate al fine di rendere il comparto mediale, sono rappresentate dalla ritensione del legamento collaterale mediale – zampa d’oca – con avanzamento degli stessi distalmente.

TRATTAMENTO DEGLI ESITI DI ARTROPROTESI
MONOCOMPARTIMENTALE MEDIALE

Anche gli insuccessi degli impianti di protesi monocompartimentali possono essere attribuiti ad errori di indicazione e difetti di tecnica chirurgica.

Nel primo gruppo rientrano i casi che, al momento dell’impianto presentavano una totale insufficienza del pivot centrale, quelli con compromissione importante (e sintomatica) della femoro-rotulea, quelli con degenerazione del compartimento laterale.

Esaminando invece le cause di insuccesso appartenenti al secondo gruppo potremo osservare:

  1. Ipercorrezione dell’asse femoro-tibiale (per insufficiente resezione delle superfici ossee o per utilizzo di plateau tibiale di spessore eccessivo) con sovraccarico e degenerazione a medio termine del comparto laterale.
  2. Mancato rispetto della deformità rotatoria in fase di posizionamento dei componenti con due conseguenze possibili:
    a) contatto tra componente femorale e massiccio intercondiloideo durante la flesso-estensione.
    b) sub-lussazione postero-laterale del condilo femorale durante la flessione con sollecitazione in “tilting” del plateau tibiale per contatto sul suo bordo postero-interno.
  3. Malposizione della componente tibiale e/o femorale da cui possono derivare mobilizzazione e deterioramento dei componenti. Gli errori più spesso in causa in questi casi sono rappresentati da:
    a) Insufficiente stabilità primaria dei componenti;
    b) Impianto dei componenti senza il rispetto dell’asse meccanico e conseguente usura del polietilene legata alla concentrazione del carico da limitata superficie di contatto femoro-tibiale
    c) Insufficiente resezione della porzione posteriore del condilo femorale (ipercorrezione del centro di rotazione) e conseguente iperpressione sul versante posteriore del componente tibiale.

Anche in questi casi la programmazione del reintervento dovrà tenere conto delle cause che hanno condotto all’insuccesso.
I casi di fallimento legati ad errore di indicazione potranno essere trattati con l’impianto di una artroprotesi totale.

Se, come frequentemente avviene, il cattivo risultato riconosce la sua causa in una ipercorrezione dell’asse femoro-tibiale, si potrà prendere in considerazione l’ipotesi di una seconda protesi monocompartimentale che sostituisca il comparto laterale, oppure quella di una protesi totale.

Qualora invece sia presente un difetto di stabilità o di posizionamento dei componenti la soluzione andrà ricercata in una nuova protesi monocompartimentale correttamente inserita. (fig. 6)

Un discorso a parte meritano i fallimenti legati a cause settiche.

Trattandosi di impianti poco invasivi, per l’esiguità delle resezioni ossee e per la modica quantità di cemento impiegata, l’insorgenza di una sepsi su un artroprotesi monocompartimentale costituisce un evenienza meno drammatica di quanto non avvenga nel caso di un artroprotesi totale.

Il trattamento consiste nella rimozione dei componenti, seguita dall’impiego di un distanziatore preparato con cemento contenente antibiotico al fine di evitare retrazioni cicatriziali.

Una volta ottenuta la guarigione del processo flogistico si procederà all’impianto di una nuova protesi monocompartimentale o, eventualmente, di una protesi totale.

Sul piano puramente tecnico, le problematiche a cui il chirurgo deve far fronte nell’effettuare la revisione, sono principalmente legate alle difficoltà di rimozione dei componenti e al difetto osseo che ne deriva.
A questo proposito sono facilmente intuibili le differenze tra i modelli “resurfacing” e quelli che prevedono invece importanti sezioni delle superfici ossee.

Nella pianificazione del reintervento, particolare attenzione dovrà essere posta sulla scelta del modello da utilizzare e sulla eventualità di ricorrere o meno a trapianti osseii.

CONCLUSIONI

Le possibilità di chirurgia successiva, dopo osteotomia o protesi monocompartimentale sono legate alle cause del primo fallimento.
La loro corretta interpretazione, unita alla valutazione della gonartrosi rotatoria secondaria dà l’indicazione per la soluzione da utilizzare.
La degenerazione del compartimento laterale o dell’articolazione femoro-rotulea suggeriscono una artroprotesi totale.

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FIG. 1 Impianto monocompartimentale “ALLEGRETTO” in esiti osteotomia valgizzante più effetto Maquet.
FIG. 2 Artroprotesi totale non cementata in esiti di osteotomia valgizzante (follow-up 5 anni)
FIG. 3 Controllo A.P. a 57 mesi d’impianto artroprotesi non cementata in esiti osteotomia valgizzante curviplana ipercorretto. Per evitare un importante sacrificio di bone stock e la necessità di ritensione dell’apparato capsulo-legamentoso mediale, sono state effettuate in un unico tempo protesi totale ed osteotomia varizzante sintetizzata con cambre.
FIG. 4 Rx in laterale artroprotesi totale a 57 mesi in esiti osteotomia.
FIG. 5 Impianto protesi totale con ritensione apparato leg. mediale-zampa d’oca, in esiti osteotomia valgizzante curviplana ipercorretta. (evidente sacrificio di bone stock tibiale mediale).
FIG. 6 Impianto artroprotesi monocompartimentale “ALLEGRETTO” in esiti protesi Cartier con malposizionamento tibiale e mobilizzazione femorale.