Spotorno L.; Morasso V.; Romagnoli S.; Ivaldo N. ; Grappiolo G. and Bibbiani E.: Accoppiamento cotile e testa: diametri e materiali. Atti Convegno Internazionale “Attualità e Prospettive nella Protesi d’Anca”, 88-91, ,1993.
INTRODUZIONE
La formazione di detriti conseguente all’usura delle componenti in polietilene è da tempo riconosciuta tra le cause che possono condurre all’insuccesso a lungo termine di un impianto protesico. Esistono al momento numerose osservazioni che dimostrano come la presenza di particelle di P.E. nei tessuti periprotesici possa determinare la formazione di aree di osteolisi tali da compromettere, nei casi avanzati, la stabilità dell’impianto.
Lo scopo di questo studio, basato sia su un esame della letteratura disponibile in materia che su osservazioni personali, è quello di analizzare in dettaglio gli aspetti di questo fenomeno e le modalità con cui si viene a determinare.
E’ necessario premettere che la maggior parte delle ricerche effettuate fino ad ora concerne cotili in P.E. cementati con particolare attenzione al problema riguardante la superficie articolare.
Con l’utilizzo delle componenti non cementate e dei modelli dotati di metal back si sono venute a creare altre due interfaccie a rischio: quella P.E.-osso e quella P.E.-metallo.
Agli inizi degli anni ’70 erano disponibili due varietà di P.E.: il Politetrafluoroetilene e il P.E. ad alto peso molecolare.
La constatazione della modica resistenza all’usura di entrambi i suddetti materiali ha portato all’utilizzo sistematico del UHMW (Ultra High Molecular Weight P.E.) che presenta caratteristiche meccaniche più idonee all’uso in campo protesico.
Uno studio Rx grafico condotto da Charnley nel 1975 ha dimostrato nel caso dell’UHMW una quota di usura a carico della superficie articolare compresa tra 0,1 e 0,25 mm per anno nell’85% dei casi e maggiore di 0,25 mm nel rimanente 15%.
Osservazioni più recenti hanno sostanzialmente confermato questi dati (Rimnac: 0,12-0,52 mm. di usura per anno; Wroblewski: 0,42 mm. di usura massima per anno).
Una problematica interessante è quella che concerne l’evoluzione del fenomeno nel tempo.
Sul piano teorico ci si aspetterebbe un’intensificazione del processo con l’aumentare del Follow-Up in relazione sia alle inevitabili modificazioni strutturali a cui va incontro il P.E. in vivo, sia alla graduale perdita di congruenza delle superfici articolari.
La conferma di questa ipotesi presenta però non pochi ostacoli legati alla necessità di disporre di un numero sufficiente di casi con Follow-Up significativo e controlli radiografici periodici.
Inoltre vanno tenute presenti le difficoltà legate alla insufficiente accuratezza delle convenzionali metodiche di misurazione.
A quest’ultimo proposito Clarke è giunto alla conclusione che l’entità reale del fenomeno si rivela spesso superiore rispetto a quella dimostrabile radiograficamente.
Un punto particolarmente controverso concerne le relazioni tra usura e dati di interesse pratico quali peso del soggetto e grado di attività fisica svolta.
Charnley e Rimnac non rilevano alcuna correlazione mentre Hood e Wright ritengono che l’influenza di tali fattori possa essere determinante.
FATTORI CHE CAUSANO IL DETERIORAMENTO
DELLA SUPERFICIE ARTICOLARE
Gli studi teorici e le ricerche sperimentali hanno dimostrato una maggiore entità degli stress in compressione a carico delle superfici articolari non congruenti, quali sono presenti nelle artroprotesi di ginocchio, rispetto alle superfici congruenti di un giunto sferico quale si realizza nell’anca protesica.
Questo dato, in perfetto accordo con le osservazioni cliniche, porta alla conclusione che il danneggiamento di superficie è legato ad un meccanismo di fatica.
Il contatto pressorio tra metallo e P.E. determina una complessa distribuzione degli stress che interessa l’inserto sia in superficie che in profondità.
Nell’immediata superficie della zona di contatto si determina Il massimo valore pressorio.
Alla periferia della zona di contatto si verifica uno stiramento che dà luogo a sollecitazioni in trazione, mentre nell’area centrale si realizzano sollecitazioni in compressione con direzione sia tangenziale che normale alla superficie stessa.
Un altro fattore che va tenuto presente è quello legato alle irregolarità presenti sulla superficie della testina protesica.
Per effetto delle stesse si crea una distorsione, legata a forze di taglio che produce intaccature della superficie.
A differenza delle componenti di compressione e trazione, l’entità delle forze di taglio può anche essere massima in un punto sottostante la superficie, fatto questo che potrebbe essere alla base della formazione di cricche sottosuperficiali.
Le alterazioni che causano la produzione di significative quantità di detriti, sono rappresentate dal “pitting” (vaiolatura) e dalla laminazione. Entrambi questi aspetti possono trarre origine sia da cricche di superficie che sottosuperficiali rispettivamente perpendicolari e parallele alla stessa superficie.
La propagazione delle cricche superficiali è dovuta all’alternanza delle componenti di compressione-trazione a direzione tangenziale che si verificano durante i cicli di carico.
La propagazione delle cricche sottosuperficiali è correlata alle sollecitazioni di taglio la cui distribuzione varia a seconda del giunto esaminato.
Se le componenti del giunto sono conformi, le massime sollecitazioni di taglio si determinano in superficie; quando invece si tratti di un giunto a componenti non conformi le forze di taglio saranno prevalenti in un punto sottostante, fatto questo che consente la propagazione delle cricche sottosuperficiali.
Va detto per completezza che, oltre ai già citati fenomeni di vaiolatura e laminazione esistono altri aspetti, talvolta macroscopicamente evidenti può trattarsi di lucidature, di graffiature, di deformazioni permanenti. Con l’uso del microscopio elettronico a scansione, si possono talvolta evidenziare difetti contenenti inclusioni (soprattutto calcio e cloro usati come catalizzatori).
Attraverso i metodi della stress-analisis e degli elementi finiti Bartel è giunto a conclusioni di notevole interesse pratico che possono essere così riassunte:
- L’entità del massimo stress in compressione si riduce con l’aumentare del diametro della testina;
- Il contatto tra le superfici non conformi di un giunto articolare produce valori di massimo stress in compressione superiori rispetto a quelli che si instaurano nel caso di superfici conformi;
- L’entità delle massime sollecitazioni in compressione e delle massime sollecitazioni di taglio aumenta sensibilmente con l’aumentare del modulo elastico del materiale polimerico. Questo dato sperimentale rende ragione delle osservazioni intraoperatore effettuate sugli inserti in POLI-TWO (UHMW-P.E. addizionato con fibre di carbonio) che, conclude l’autore, non dovrebbe essere utilizzato nell’ambito delle superfici sottoposte a frizione.
Sulla scorta di questi dati possiamo quindi analizzare i singoli fattori che influenzano l’usura del materiale polimerico nell’interfaccia articolare:
- diametro della testina
- finitura del materiale della testina
- caratteristiche dell’inserto (forma e spessore)
- posizione della cupola
- frammenti nel torchio di frizione
Diametro della testina
Il diametro di 28 mm. determina, come osservato da Bartel, valori di massimo stress in compressione accettabili e consente al contempo di utilizzare inserti di spessore adeguato (comunque non inferiori a 7/8 mm.). Nei casi in cui si debba ricorrere a cupole di piccole dimensioni, l’uso di testine di 22 mm., consentendo di mantenere lo spessore del P.E. entro i suddetti limiti, può essere preso in considerazione.
Finitura del materiale della testina
Una riduzione delle irregolarità di superficie quale si ottiene con i materiali ceramici riduce l’entità del fenomeno di “indentatura” che, come abbiamo visto, può costituire l’innesco delle cricche e che pertanto rientra tra le cause dei fenomeni di deterioramento.
Caratteristiche dell’inserto
Spessore: è stato osservato che, con inserti di spessore inferiore ai 7/8 mm. si verifica un aumento di fenomeni di deterioramento di superficie in relazione alla diminuzione delle capacità di shock absorbent e al conseguente incremento della concentrazione di stress.
Forma: qualunque forma della superficie articolare che realizzi un accoppiamento non congruente (e cioè un modello diverso dal giunto sferico) può costituire il presupposto, quanto meno teorico, per un aumento dell’usura. Inoltre la presenza di spigoli vivi ai limiti della superficie di carico può creare un conflitto tra testina e spigolo con tendenza dello stesso a smussarsi progressivamente con rilascio di particelle di polimero.
Posizione della cupola
L’impianto di una componente cotiloidea con inclinazione superiore ai 45° rispetto all’orizzontale può risultare in un danneggiamento di una superficie articolare legato ad una diminuzione della superficie di carico ed alla conseguente concentrazione di stress in direzione del polo superiore. In massima adduzione può inoltre crearsi un conflitto tra collo dello stelo e labbro inferiore della componente acetabolare.
Frammenti nel torchio di frizione
Abbiamo personalmente osservato casi con importante danneggiamento della superficie di carico dell’inserto legati ad interposizione di frammenti di varia origine: microbiglie staccatesi dal rivestimento delle componenti protesiche, particelle di cemento, frammenti di filo metallico utilizzato per i cerchiaggi.
Come è stato premesso, il problema del debriedement può presentarsi, talvolta con aspetti eclatanti, anche a carico delle interfacce P.E.-metal back e P.E.-osso.
Interfaccia P.E.-metal back
Buona parte dei cotili dotati di metal back prevedono sistemi di stabilizzazione P.E.-metallo basati su semplice incastro (snap-sistem).
Nel corso degli interventi di revisione abbiamo potuto talvolta osservare una perdita di stabilità del sistema a cui facevano riscontro alterazioni anche grossolane della superficia convessa dell’inserto.
Per quanto invece concerne il sistema di fissazione a vite dell’inserto adottato nella cupola ad espansione CLS, l’esperienza clinica ha confermato i dati emersi dai test sperimentali secondo i quali l’applicazione di 10 milioni di cicli di carico non dava luogo a formazione di detriti in misura apprezzabile.
I sistemi che prevedono l’uso di viti per la fissazione del metal back espongono ad un ulteriore rischio legato al possibile conflitto tra la testa delle stesse e la superficie esterna dell’inserto. Tale conflitto può essere immediato qualora, per ragioni diverse, la testa faccia salienza nel versante interno del metal back, oppure secondario nel caso in cui ad una progressiva migrazione della cupola in senso craniale non faccia seguito una consensuale migrazione delle viti.
Interfaccia P.E. osso
Alcuni modelli dotati di metal back consentono un contatto P.E.-osso che si realizza attraverso fenestrature situate nella componente metallica.
Anche in questi casi la presenza di erosioni nelle aree di contatto é, nella nostra casistica, di osservazione estremamente comune.
Per quanto concerne infine i modelli costituiti integralmente in P.E. e che quindi prevedono un contatto tra polimero e osso diretto e globale il rischio di debriedement è ovviamente elevato. In tal senso va però tenuto presente il ruolo fondamentale svolto dalla stabilità primaria.
Se infatti la stabilizzazione iniziale si rivela insufficiente, l’effetto del micro-macro movimento puo’ esporre, a medio termine, la superficie dell’inserto a fenomeni di erosione di entità tale da condurre all’insuccesso.
CONCLUSIONI
Il polietilene. può essere considerato un “elemento debole” del sistema protesico in ragione della sua esposizione ai fenomeni di usura.
Per quanto non del tutto eliminabile, questa problematica può essere contenuta entro termini accettabili qualora vengano rispettati alcuni criteri fondamentali concernenti il tipo di P.E. impiegato, le caratteristiche dell’inserto, il diametro della superficie articolare e la finitura del materiale della testina protesica.
Nei sistemi dotati di metal back rivestono grande importanza il metodo di stabilizzazione P.E.-metallo e le soluzioni che consentono di evitare punti di contatto diretto tra polimero e osso.
Da non dimenticare infine, anche in questo tema specifico, il ruolo decisivo di una corretta tecnica di impianto.
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